In Europa Barcellona, Copenhagen, Rotterdam, negli Stati Uniti New Orleans, New York e Boston: sono queste le grandi città che stanno guidando il movimento delle delta cities per contrastare l’innalzamento del livello delle acque del mare e contro le alluvioni. Con strategie di breve e medio periodo, politiche ad hoc, programmi e progetti e, in diversi casi, realizzazioni concrete. Per mettere in moto questo movimento ci sono voluti anni e, soprattutto, alcuni fatti drammatici, come gli uragani Katrina e Sandy e l’alluvione di Copenhagen. Era il 23 agosto del 2005 quando Katrina si è abbattuto sulla principale città della Louisiana, New Orleans. Gli argini dei numerosi canali che attraversano l’abitato non hanno retto e la città è stata sommersa dall’acqua per l’80 per cento della sua estensione. Al termine dell’uragano, il quinto per gravità nella storia degli Stati Uniti, si sono contati 1.836 vittime e danni per 81 miliardi di dollari.

Gli effetti dell’uragano Sandy del 23 agosto del 2005 su New Orleans: l’80 per cento della città andò sott’acqua (fonte: Resilient Offi ce di New Orleans).
Quella data ha segnato una svolta in materia di gestione delle acque urbane di New Orleans. Gli abitanti della capitale danese, invece, nota per essere una delle città più sostenibili al mondo, dove tutti si spostano in bicicletta, non potranno facilmente dimenticare la «bomba d’acqua» che il 2 luglio del 2011 la allagò, la mise in ginocchio e fece danni per 1 miliardo e 400 milioni di euro. I newyorkesi infine ricorderanno la data del 29 ottobre del 2012, in cui l’uragano Sandy fece 63 miliardi di dollari di danni solo in città e la «grande mela» fu a un passo dal collasso. Anche Boston, come altri centri della costa est, fu colpita dalla forza devastante di quell’uragano. Da un lato, quindi, è la maggiore consapevolezza degli effetti dei cambiamenti climatici che spinge città a cambiare e a mettere in campo nuove strategie di adattamento, dall’altro, sono gli effetti catastrofi ci delle nuove emergenze ambientali che inducono le municipalità locali a immaginare un futuro differente dall’attuale.
Anche in termini di creazione di nuovo paesaggio, di messa in campo di soluzioni tecniche innovative e di ripensamento di alcuni spazi urbani. In questa operazione di rinnovo delle strategie urbane, c’è chi è stato preveggente e già si è attrezzato per il futuro e c’è chi solo ora muove i suoi primi passi. Siamo insomma in presenza di un movimento che mette al centro della propria strategia urbana l’adattamento ai mutamenti climatici e il contrasto all’innalzamento delle acque marine e che prepara un futuro resiliente. Con interventi diversificati – piazze d’acqua, tetti verdi, zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani, grandi contenitori sotterranei, sopraelevazione dei marciapiedi per la raccolta e il deflusso delle acque in eccesso – ma tutti con un unico obiettivo: intercettare, rallentare e incanalare ogni goccia d’acqua e garantire una città capace di convivere con l’acqua.

Nella foto aerea, il centro di Copenhagen. In verde l’intervento sulla piazza lineare di Sant’Anna e la proposta di sistemazione per renderla permeabile all’acqua.
BARCELLONA, PRIMA CITTÀ RESILIENTE
La città catalana è sicuramente la prima, vera flooding resilient city al mondo. Perché, prima di altre, ha saputo fare i conti con il problema rappresentato dalle alluvioni. Non è un caso, quindi, che nell’aprile del 2013 le Nazioni Unite abbiano riconosciuto a Barcellona il titolo di World Leading Resilient City Model. Un esempio concreto che testimonia questa leadership? La realizzazione del Deposito de retencion de agua de lluvia (deposito sotterraneo di raccolta delle acque piovane) realizzato proprio al di sotto del centro commerciale Arenas (un edificio circolare a forma di arena per la corrida).
Nella città che è leader mondiale delle città resilienti, di depositi simili se ne contano (almeno fi no alla fi ne dello scorso anno) altri 12. Un risultato reso possibile grazie a un piano di interventi avviato a partire dagli anni Novanta, con l’obiettivo appunto di costruire enormi depositi sotterranei per la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua piovana in eccesso (vale a dire, della quota di acqua che gli impianti di drenaggio, durante i temporali, non riescono a smaltire). Tredici enormi contenitori in grado di raccogliere, in occasione dei picchi di pioggia, circa un milione di metri cubi d’acqua, che poi grandi tubature e sistemi di pompaggio sono in grado di distribuire agli impianti di depurazione della città. Al di sotto del centro commerciale Arenas possono essere così stivate circa 70 mila metri cubi d’acqua (che entra con una portata di 50 metri cubi al secondo). Ecco un esempio di che cosa significa costruire una città resiliente, almeno dal punto di vista del contrasto alle alluvioni.

Barcellona | Depositi sotterranei. È un esempio virtuoso di città resiliente anche per quanto riguarda il contrasto alle alluvioni. Nelle foto, i depositi sotterranei di raccolta delle acque piovane di Juan Mirò ed Enamorats Aragò. In città sono tredici i depositi di questo tipo, che consentono di raccogliere un milione di metri cubi circa d’acqua.
ROTTERDAM E L’ACQUA: DA PROBLEMA A OPPORTUNITÀ
A Rotterdam – 650 mila abitanti, seconda città più importante d’Olanda dopo Amsterdam, sede del più grande porto commerciale d’Europa e tra i più importanti al mondo – il tema della resilienza urbana è all’attenzione della municipalità già da una quindicina di anni. Nella città olandese il rapporto città-acqua è stato completamente rovesciato: da minaccia ambientale quale era a opportunità economica. Infatti, uno degli obiettivi di Rotterdam è rimanere attrattiva e solida dal punto di vista economico e sociale, nonostante l’80 per cento della città, collocata nel cuore del delta del Reno, sia al di sotto del livello del mare, fatto questo che determina un forte impatto sulla tenuta del sistema idrico cittadino. Da anni infatti la municipalità olandese lavora a questo obiettivo di convivenza con le acque e i suoi effetti.
È del 2001 il primo piano d’azione contro le alluvioni, strumento che è stato implementato nel 2005 con un documento che offriva un orizzonte temporale degli interventi pubblici al 2035. Nel 2007 Rotterdam ha varato un secondo piano d’azione, mettendo a punto una strategia di adattamento, completata nel 2013. La strategia del Water Programm di Rotterdam, l’ufficio che si occupa del contrasto alle alluvioni, è basata su quattro principi fondamentali: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, il varo di piani d’azione a breve termine, lo sviluppo delle professionalità necessarie e la condivisione delle esperienze.

Rotterdam | Interventi multifunzionali di piccola scala. Città sul delta del Reno, è per l’80 per cento al di sotto del livello del mare. Il primo piano d’azione di gestione delle acque è del 2001.
I tecnici hanno anche modificato l’approccio rispetto alle opere da realizzare: avendo alle spalle un sistema idrico robusto ed efficiente, oggi a Rotterdam si preferiscono soluzioni multifunzionali su piccola scala, che abbiano un alto grado di flessibilità e che partano dalle periferie. Nella città densa, invece, si sperimentano soluzioni capaci di rifunzionalizzare alcune strutture esistenti: è il caso di un garage sotterraneo, che è diventato un collettore della capacità di 10 mila metri cubi d’acqua. Nelle città olandese, in base a questo nuovo approccio, si stanno realizzando le cosiddette piazze d’acqua: spazi pubblici riqualificati dal punto di vista idrico e sociale; mentre nella città resiliente gli amministratori comunali non perdono di vista altri obiettivi, come la depavimentazione degli spazi pubblici e privati e i tetti verdi.

Le autorità municipali concentrano gli interventi in zone periferiche, con interventi multifunzionali e di piccola scala. Nella città densa si sperimentano soluzioni di rifunzionalizzazione delle strutture esistenti. Nelle foto, la piazza d’acqua di Benthemplein dopo l’intervento e la trasformazione di un parcheggio sotterraneo in collettore delle acque in eccesso.
COPENHAGEN, PIÙ VERDE, PIÙ BLU E MENO CEMENTO
Copenhagen sfida il cambiamento climatico e il quartiere di San Kjeld, antica zona operaia vicina al porto della città, sarà la prima area urbana resiliente al mondo. Dopo la bomba d’acqua di quattro anni fa, la capitale danese fa i conti con alluvioni e isole di calore. Dopo il varo del piano di adattamento al clima («Copenhagen Climate Plan») del 2012, è ora la volta degli interventi nei quartieri. Il progetto dello studio di architettura Tredje Natur (architetti Flemming Rafn Thomsen e Ole Schrøder), prevede infatti una profonda trasformazione delle vie e delle piazze del quartiere, con la creazione di zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani, oltre alla sopraelevazione dei marciapiedi per la raccolta e il deflusso delle acque in eccesso verso il porto.

Copenhagen | I quartieri. Un anno dopo l’alluvione del 2011, la capitale danese ha varato il Copenhagen Climate Plan. Oggi la municipalità sta realizzando gli interventi in diversi quartieri.
L’idea progettuale nasce da un masterplan che riconsidera gli spazi urbani in chiave ambientale e come occasione di governo delle acque in eccesso. Il progetto avviato dalla municipalità di Copenhagen è ambizioso e si estende su 105 ettari. Con la creazione dei percorsi verdi e delle opere di adattamento al clima, si prevede di ridurre del 20 per cento il totale delle aree dedicate al traffico veicolare della zona: da 270 a 220 mila mq. Nel dicembre dello scorso anno è stata inaugurata la prima parte dell’intervento che ha interessato piazza Tåsinge; poi sarà la volta della grande piazza di San Kjeld e della principale infrastruttura d’acqua che corre lungo la strada Bryggervangen. La conclusione dei lavori dovrebbe avvenire alla fi ne del prossimo anno. A Copenhagen si assiste insomma a una sorta di rovesciamento del problema: il climate change è un’opportunità per migliorare la città, puntando al verde (della vegetazione) e al blu (dell’acqua) e non più al grigio (del cemento). Nello stesso tempo si abbellisce la città, con un rapporto qualità e costi inferiore a quello di interventi di tipo infrastrutturale.

Il progetto di intervento nel quartiere San Kjeld (progetto Tredje Natur), prevede una profonda trasformazione di vie e piazze, con la creazione di zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani, oltre alla sopraelevazione dei marciapiedi per la raccolta e il deflusso delle acque in eccesso verso il porto.
NEW YORK, DA SANDY A REBUILD BY DESIGN
Dopo il disastro prodotto dall’uragano Sandy, la municipalità newyorkese ha iniziato ad affrontare gli effetti indotti dai cambiamenti climatici. Il dipartimento di Housing and urban development (Hud) degli Stati Uniti ha infatti dato vita a Rebuild by Design, un’organizzazione il cui compito è far cooperare istituzioni locali e federali, università, enti di ricerca, attori locali. In poco tempo, sono stati prodotti, attraverso incontri di progettazione partecipata, dieci progetti. Sei dei quali sono stati ricompresi nel fondo di finanziamento federale, che prevede 920 milioni di dollari per le zone di New York, New Yersey e New York City. Si tratta di fondi compresi nel finanziamento di 2,5 miliardi di dollari, riguardante gli interventi nella regione dove Sandy ha colpito più forte. Big U è il nome del progetto vincitore, predisposto da The Big Team. Si tratta di una protezione continua attorno Manhattan lunga dieci miglia, che ricomprende una delle zone più vulnerabili della città, in cui vivono 150 mila persone.

Nel dicembre dello scorso anno è stata inaugurata la prima parte dell’intervento che ha interessato piazza Tåsinge; poi sarà la volta della grande piazza di San Kjeld e della principale infrastruttura d’acqua che corre lungo la strada Bryggervangen. (fonte: Tredje Natur)
Con questo progetto (denominato Bridging Berm), il lower est side di Manhattan si trasformerà in parco, promenade e spazio giochi. Per lo sviluppo della proposta sono a disposizione 335milioni di dollari dell’Hud statunitense. Il secondo progetto, che si concentra a Hoboken, nel lower Hudson (New Yersey), ha un titolo eloquente: Resist, delay, store, discharge. È opera del gruppo di progettazione Oma (premiato con 230 milioni). Sono previsti sia interventi infrastrutturali sia di difesa delle coste; opere idrauliche per rallentare il flusso delle acque; un circuito di infrastrutture verdi per immagazzinare e dirigere l’acqua in eccesso; pompe di sollevamento e percorsi alternativi per favorire il drenaggio. Il progetto del team Mit Cau+Zus+Urbanisten interviene nella zona di Meadowlands nel New Yersey. La proposta progettuale (150 milioni di dollari) si concentra su Little Ferry, Moonachie, Carlstad e Teterboro.

New York | Il concorso internazionale. I disegni dei sei progetti vincitori del concorso internazionale varato da Rebuild by Design. Big U è il nome del progetto vincitore, progettato da The Big Team. Si tratta di una protezione continua attorno Manhattan lunga dieci miglia.
Attraverso l’integrazione del sistema dei trasporti e il miglioramento delle condizioni ecologiche, il progetto trasformerà il bacino di Meadowlands da luogo rischioso a spazio di qualità. Living with the bay è il progetto proposto da Interboro Team, un piano di resilienza per la contea di Nassau a Long Island (125 milioni). Si tratta di interventi tra loro collegati che prevedono di trasformare il fi ume Mill in un corridoio blu e verde, capace di immagazzinare e filtrare l’acqua. Il team Landscape Architecture ha proposto Scape, un progetto per il quartiere di Tottenville nello Staten Island a New York City (60 milioni). L’obiettivo è ridurre i rischi, riportare buone condizioni ambientali e creare una zona resiliente. L’ultimo dei sei progetti premiati (20 milioni) è Hunts Point Lifelines, del team PennDesign/Olin. Per Hunts Point, quartiere del south Bronx a New York City, il progetto prevede quattro proposte: creare un sistema di protezione dalle alluvioni sul lungomare di Hunts Point; dotarsi di una forte leadership per costruire una società resiliente; istituire un sistema marittimo di emergenza supplementare; mettere in atto una strategia per migliorare la qualità dell’aria.

Il secondo progetto, che si concentra a Hoboken, nel lower Hudson (New Yersey), ha un titolo eloquente: Resist, delay, store, discharge. È opera del gruppo di progettazione Oma. Il progetto del team Mit Cau+Zus+Urbanisten interviene nella zona di Meadowlands nel New Yersey. Living with the bay è il progetto proposto da Interboro Team, un piano di resilienza per la contea di Nassau a Long Island.
NEW ORLEANS GUARDA ALL’EUROPA
Quando Katrina ha smesso di allagare New Orleans – città costruita 300 anni fa dai francesi sul delta del Mississipi e nota al mondo per la sua architettura creola – si sono contate 1.836 vittime e danni per 81 miliardi di dollari. Quell’uragano, il quinto per gravità nella storia degli Stati Uniti, ha segnato la svolta in materia di gestione delle acque urbane. Per elaborare in fretta un piano d’intervento e per impedire quanto accaduto dieci anni fa, l’ufficio della resilienza urbana, il Resilient Officer, ha cercato di imitare quanto già altre capitali, in particolare quelle europee, hanno progettato e realizzato.

Il team Landscape Architecture ha proposto Scape, un progetto per il quartiere di Tottenville nello Staten Island a New York City. L’ultimo dei sei progetti premiati è Hunts Point Lifelines, del team PennDesign/Olin, per la zona di Hunts Point, quartiere del South Bronx a New York City.
Nel 2012, gli uffici della città della Louisiana, che conta 400 mila abitanti nei suoi confini amministrativi e un milione di residenti nella Grande New Orleans, hanno iniziato il lavoro di redazione del Piano urbano per la gestione delle acque: The Greater New Orleans Urban Water Plan (Waggonner&Ball Architects di New Orleans), che è stato concluso nel novembre del 2013. Il piano si basa su tre principi fondamentali: definire una strategia (Vision); proporre un design urbano ai vari livelli (Urban Design); implementare il sistema (Implementation), documento, quest’ultimo, che è stato realizzato grazie al lavoro di amministratori pubblici, esperti e attori locali, che definisce anche gli impatti economici, le priorità, le fasi di intervento, gli strumenti finanziari, le iniziative politiche e, infine, individua i potenziali partner delle singole operazioni.

New Orleans | Come il nord Europa. L’ufficio municipale della resilienza, dovendo procedere in fretta, ha imitato quanto è stato progettato e realizzato nel Nord Europa. Nel 2012 è stato redatto The Greater New Orleans Urban Water Plan (Waggonner&Ball Architects), concluso nel novembre del 2013. Il piano si basa su tre principi fondamentali: defi nire una strategia (Vision); proporre un design urbano ai vari livelli (Urban Design); implementare il sistema (Implementation).
BOSTON LIVING WITH WATER
All’inizio dell’estate, il sindaco di Boston, Martin J. Walsh, ha premiato i migliori progetti del concorso internazionale «Boston Living with Water», bandito per affrontare i rischi dell’innalzamento del livello delle acque e contro le inondazioni. Il concorso, che è stato organizzato in collaborazione con la Boston Harbor Association, l’Autorità di rigenerazione urbana della città e l’Associazione degli architetti di Boston, è stato lanciato nel 2014, due anni dopo la devastazione della costa est degli Stati Uniti da parte dell’uragano Sandy, dell’ottobre del 2012. Al concorso hanno partecipato 50 gruppi di progettazione internazionali, che hanno affrontato anche il tema del futuro delle aree costiere, in particolare quello di tre zone critiche della città: il Prince Building, nel North End; il Fort Point Channel, quartiere che comprende aree di sviluppo urbano, spazi verdi, edifici storici e infrastrutture varie, e, infine, il Morrisey Boulevard, strada di accesso alla penisola di Columbia Point, composta di zone residenziali, commerciali e pubbliche.

Boston | Il concorso internazionale. Il concorso internazionale Boston Living with Water ha visto la partecipazione di 50 gruppi internazionali che hanno affrontato il tema di tre zone critiche della città: il Prince Building, nel North End; il Fort Point Channel e, infi ne, il Morrisey Boulevard, strada di accesso alla penisola di Columbia Point. Tre i progetti premiati: il Total Approach Resilient, del gruppo di progettazione italiano Thetis di Venezia, che, in collaborazione con lo studio Proap dell’architetto João Nunes di Lisbona, ha lavorato alla trasformazione del Morrisey Boulevard.
Tre i team di progettazione premiati; tra questi, per la categoria «infrastrutture», il progetto Total Approach Resilient del gruppo di progettazione italiano Thetis di Venezia, che, in collaborazione con lo studio Proap dell’architetto João Nunes di Lisbona, ha lavorato alla trasformazione del Morrisey Boulevard, zona soggetta ad allagamenti in concomitanza di maree eccezionali. La proposta punta a trasformare il sedime viario esistente in un’infrastruttura multifunzionale: la strada diventa così una barriera fi sica a protezione dell’abitato in cui localizzare alcune funzioni di servizio come parcheggi, cisterne di stoccaggio dell’acqua, volumi tecnici. Il progetto interviene sull’adiacente penisola di Columbia Point con la rimodulazione degli argini e la riqualifi cazione ambientale e morfologica della fascia costiera. È prevista inoltre la gestione sostenibile delle risorse idriche attraverso il ciclo integrato delle acque, la fitodepurazione dei reflui urbani, l’utilizzo di tetti verdi e il contenimento delle superfici pavimentate.

Gli altri due progetti vincitori, nelle categorie «quartieri» ed «edifi ci», hanno riguardato, rispettivamente, gli interventi su Fort Point Channel e Prince Building: il primo, dal titolo ReDeBoston 2100, progettato da ArchiTerra di Boston; il secondo, Prince Piers Building, degli architetti Stephanie Goldberg e Mark Reed, sempre di Boston. Il Prince Piers Building propone di trasformare la strada commerciale in una spiaggia urbana a protezione degli edifi ci esistenti attraverso la rimodellazione del paesaggio.
Gli altri due progetti vincitori, nelle categorie «quartieri» ed «edifici», hanno riguardato, rispettivamente, gli interventi su Fort Point Channel e Prince Building: il primo, dal titolo ReDeBoston 2100, progettato da ArchiTerra di Boston; il secondo, Prince Piers Building, degli architetti Stephanie Goldberg e Mark Reed, sempre di Boston. Il progetto di ArchiTerra, che si sviluppa su un’area di 40 mila metriquadrati, prevede che gli edifici e le strutture siano sollevate un metro dal terreno, con vasche, ponti e passaggi sopraelevati che accoglieranno le acque del mare. Il Prince Piers Building propone di trasformare la strada commerciale in una spiaggia urbana a protezione degli edifici esistenti attraverso la rimodellazione del paesaggio. Piste ciclabili e camminamenti in legno del nuovo insediamento commerciale si sviluppano lungo la strada esistente, nascondendo sia le dighe sia i tunnel impiantistici. Lo spazio soprastante la nuova sistemazione è studiato per essere trasformato e per assicurare gli investimenti nel breve e lungo periodo. Le nuove unità abitative, che risultano sospese rispetto agli edifici posti di fronte, sono dotate di giardini pensili e sistemi naturali di raffrescamento, creando così dei cortili verticali a servizio dei microalloggi.
IL MOVIMENTO DELLE CITTÀ RESILIENTI
Le esperienze di Barcellona, Rotterdam, Copenhagen, New Orleans, New York e Boston non rappresentano esperienze solitarie, ma sono il frutto, da un lato, della raggiunta consapevolezza di alcuni decisori locali (politici, economici e finanziari) rispetto ai rischi che le grandi città d’acqua oggi corrono (e che per motivi anche legati alla competizione internazionale non possono correre) e, dall’altro, della dimostrata vulnerabilità delle città di fronte ai cambiamenti climatici. A dimostrazione dell’esistenza di un movimento delle città resilienti, si colloca l’iniziativa assunta a livello mondiale dalla Rockfeller Foundation, che un anno e mezzo fa, in occasione del World Urban Forum di Medellin, ha lanciato la proposta del City Resilinece Framework e ha messo a disposizione uno stanziamento di 100 milioni di euro destinato a cento città al mondo («100 Resilient Cities»), che si intendono impegnarsi sulle strategie di resilienza urbana. In Italia, solo Roma e Milano sono in questo elenco.
di Pietro Mezzi