La quota della popolazione mondiale residente nelle aree urbane ha superato la soglia del 50 per cento e il fenomeno di urbanizzazione è in costante crescita: è evidente che il tema dello sviluppo delle città, l’analisi dei valori e disvalori, delle economie e diseconomie generati dall’urbanizzazione e la riflessione sulla qualità di vita di chi abita e lavora nei contesti urbani siano oggi un punto cardine nelle agende dei Governi.
Pur nelle enormi differenze tra i modelli di crescita e sviluppo economico e territoriale dei diversi Paesi del mondo, l’obiettivo strategico comune a cui guardare per tracciare una rotta in termini di sviluppo dei sistemi urbani è certamente quello del miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente, del recupero della cultura del fare legata al territorio e alla valorizzazione delle sue risorse, della composizione armoniosa dei paesaggi, incoraggiando lo sviluppo di nuovi tessuti urbani misti resi possibili dal nuovo scenario produttivo.
Il modello a cui guardare non può che essere quello di una città che sappia declinare il tema della crescita con quello dell’ecologia, della sostenibilità, del lavoro. Un modello che riesca, in una prospettiva ecotech/ecowork, a proporre a chi vi abita e vi lavora una qualità della vita in grado di generare un’attrazione di qualità e non solo di opportunità.
In questa prospettiva i temi del «prodotto immobiliare» e dell’edilizia sostenibile e sociale assumono un’enorme rilevanza: la tipologia, le caratteristiche, le prestazioni degli edifici, sia privati che pubblici, determinano la qualità del costruito e, più in generale, la qualità dell’offerta di una città. Bisogna, in sintesi, dare concretezza e contenuto al termine qualità.
Qualità nel prodotto: le case e gli uffici sono gli spazi in cui l’uomo soggiorna per buona parte della sua esistenza.
La sostenibilità in edilizia non è quindi un lusso, ma una priorità per il vivere che impone una responsabilità sociale da parte di tutta la filiera e un percorso che va dalla fase progettuale, alla scelta dei materiali, alla realizzazione e gestione nel tempo dei beni costruiti.
Il ciclo di vita dei prodotti dell’edilizia deve divenire valore condiviso e riconosciuto dal mercato, pubblico e privato. Deve condizionare le industrie produttrici di materiali e tecnologie, deve cambiare la domanda e determinare nuovi paradigmi dell’offerta.
Qualità nella trasformazione: le città crescono, si ricostruiscono su se stesse e il loro sviluppo deve garantire un uso delle risorse senza sprechi. Il modello di crescita urbana dei paesi industrializzati è in crisi, per questo proprio da noi deve partire un nuovo modello che affermi un diverso ruolo anche del sistema immobiliare.
Non sprecare vuol dire intervenire per la riqualificazione ambientale delle aree compromesse, vuol dire rendere il recupero del costruito un’occasione per rigenerare parti di città, vuol dire anche puntare a sistemi che non solo consumano meno, ma che siano eco positivi.
Non basta agire sul singolo edificio: bisogna inevitabilmente guardare alle trasformazioni di interi quartieri, di intere realtà urbane da progettare e ricostruire con criteri di sostenibilità, riorganizzando, al tempo stesso, tutti i servizi dell’abitare e della città, come il trasporto delle persone, delle merci e dei dati, il servizio di energia, l’uso e il riciclo dei materiali, l’acqua, gli spazi di aggregazione e socialità, la natura in città e l’agricoltura di prossimità.
Intervenire su costruzioni vecchie o realizzate nell’immediato dopoguerra, in assenza di normative specifiche o su strutture che hanno subìto nel tempo svariati interventi di ampliamento o sopraelevazione e che allo stato odierno non soddisfano i requisiti minimi nei confronti del rischio sismico e/o del comfort ambientale, ha sicuramente costi più alti e minori risultati rispetto a un intervento, seppur più radicale, quale la demolizione con successiva ricostruzione.
Diversi stati europei hanno messo in atto una politica di rinnovamento urbano mediante la ricostruzione di interi quartieri, si pensi alle Torri di Red Road in Scozia, nella periferia di Glasgow, al Trinitat Nova a Barcellona o al quartiere Ballymun a Dublino.
Riprogettare le periferie, le aree dense delle megalopoli è la scommessa per il futuro. Credo che il settore delle costruzioni e in particolare quello immobiliare possano essere attori positivi di quello che viene definito Rinascimento Urbano.
Condividere una visione del futuro è operazione complessa perché, se non è solo carta, deve partire dal capire e accettare gli interessi contrapposti e farli convergere: oggi stiamo decidendo per le generazioni future e non possiamo prescindere dai loro stili di vita determinati dall’era digitale e dal bisogno di qualità ambientale.
Città più dense ma più connesse, abitazioni a costi sostenibili ma a prestazioni elevate, edilizia sociale ma a dimensione umana e di valore architettonico, spazi individuali più ridotti ma spazi di condivisione organizzati e di qualità, confort e consumo ma senza sprechi e con capacità di generare risorse, luoghi per accogliere giovani, talenti, creativi ma che siano in grado di integrare le generazioni: tutto ciò dovrà essere inglobato nello sviluppo immobiliare del futuro.
La città del futuro dovrà saper coniugare la smart city e la slow city, integrando gli aspetti di una e dell’altra in modo coerente e virtuoso. Penso a una città che grazie a politiche di governo del territorio coraggiose, alla collaborazione tra pubblico e privato, a visioni di lungo termine e con obiettivi condivisi, sappia «usare» le tecnologie che rendono smart una city con i valori di vivibilità, socialità e qualità che contraddistinguono le slow city.