Il vero problema dell’urbanistica non è tanto l’articolazione della pianificazione, quanto piuttosto la gestione del piano.
Difatti, proprio alla luce della suddivisione dello strumento urbanistico in parte strutturale e parte operativa, è al momento dell’attuazione delle scelte strategiche che si gioca la partita del bilanciamento degli interessi pubblici e privati e della compatibilità delle proposte dei privati con le indicazioni dell’amministrazione.
A ciò si aggiunga la ridotta capacità finanziaria degli enti locali, con la conseguente necessità del concorso di finanziamenti privati.
Qui sorge, però, il problema: fino a che punto si può spingere l’amministrazione nel formulare le richieste e come può essere individuato il limite di sostenibilità. Come al solito non esistono regole normative a livello statale (fatta eccezione per qualche riferimento nella l. n. 241/1990) e anche a livello regionale non si rinvengono indicazioni sostanziali, con l’ eccezione della Regione Umbria come vedremo avanti, per cui la problematica è di fatto rimessa al libero arbitrio dei comuni, o con un eufemismo alle «buone pratiche» adottate dagli stessi.
Come tutto ciò si inserisca nel rapporto delle convenzioni urbanistiche è oggetto di dispute dottrinali e giurisprudenziali, che spostano in alto o in basso l’asticella della tollerabilità in rapporto alle differenti motivazioni, basate, ora, su criteri di proporzionalità, ora su esigenze di recuperare il plusvalore indotto dalla trasformazione urbanistica attribuendo una impropria finalità fiscale alla disciplina urbanistica.
È opportuno ricordare in proposito cosa è successo relativamente al contributo straordinario introdotto dal Prg di Roma censurato dal Tar Lazio che ha classificato il contributo come imposizione patrimoniale non legittimata da apposita norma ed, invece, ritenuto legittimo dal Consiglio di Stato che ha inquadrato la richiesta non come imposizione bensì come «libera» adesione contrattuale da parte dell’interessato.
È poi intervenuta una norma statale relativa a Roma Capitale che ha legittimato il contributo solo per questa realtà territoriale. Il tema è, dunque, quello dei c.d. extraoneri, per cui sarebbe necessario introdurre il principio generale che gli accordi urbanistici devono essere ispirati a criteri di proporzionalità delle prestazioni, trasparenza, pubblicità, concorrenza e bilanciamento dei benefici pubblici e privati.
Sulla base di queste regole è,infatti, possibile verificare il loro rispetto nell’esplicazione delle condizioni dell’accordo, superando l’episodicità del caso per caso.
Una primo interessante esempio è offerto dalla Regione Umbria che con la l. n. 12/2013 svolge una rilevante funzione di apripista su un tema così rilevante, definendo il contributo straordinario come contributo aggiuntivo rispetto a quello connesso al titolo abilitativo che il comune può richiedere per la realizzazione di ulteriori opere pubbliche, a seguito, però, di una adesione volontaria da parte del privato e a fronte di misure premiali in termini di bonus urbanistici.
La Regione Umbria ha, dunque, inteso affermare il principio che il contributo può essere richiesto, ma non imposto al privato il quale aderisce a fronte del riconoscimento di premialità urbanistiche proprio in una logica di bilanciamento degli interessi pubblici e privati.
La premialità può consistere nell’attribuzione da parte del comune di ulteriori quantità edificatorie rispetto a quelle base e può prevedere anche modifiche di destinazione d’uso, nonché trasferimenti di aree.
Come contropartita il privato: mette a disposizione aree e realizza quota di edilizia sociale; si impegna a conseguire risultati di sostenibilità ambientale ulteriori rispetto a quelli obbligatori; elimina i detrattori ambientali o realizza interventi di riqualificazione ambientale.
Un altro aspetto che deve essere preso in considerazione e quello della circolazione dei diritti edificatori.
Nelle varie leggi regionali su perequazione, compensazione e premialità è prevista la cessione di quantità edificatorie intesa non solo come trasferimento di diritti edificatori tra i privati, ma anche come attribuzione da parte del comune di quantità edificatorie come corrispettivo per l’acquisizione di aree e per la realizzazione di opere pubbliche o per l’acquisto di immobili.
Tali diritti edificatori sono liberamente commerciabili e viene istituito un apposito registro. Si è in tal modo creato un sistema peculiare dove vi sono diritti edificatori che decollano e che atterrano(tanto che sembrerebbe necessario, piuttosto che un urbanista, un pilota), ma non si è prestata la necessaria attenzione al problema della loro concreta utilizzabilità per assicurare tutte le prestazioni assunte.
Anche su questo aspetto interviene la Regione Umbria con la stessa legge n.12/2013, prevedendo che qualora le quantità edificatorie attribuite a titolo di perequazione, compensazione e premialità siano estinte totalmente o parzialmente a seguito di previsioni urbanistiche sopravvenute, non obbligatorie per legge a causa di piani di settore, il comune è tenuto a indennizzare i proprietari con il valore di mercato delle stesse.