Normative | Massimo Ghiloni, consulente urbanistico

Urbanistica: pubblico-privato, un rapporto ancora da decifrare e regolamentare

Lo Stato in tutte le sue articolazioni non ha più autonomia finanziaria per sostenere gli interventi sul territorio, sia infrastrutturali che di riqualificazione urbana, per cui deve aprirsi all’apporto dei privati, anche perché senza un rilancio degli investimenti l’economia non riparte. Questo stato di necessità non può, però, significare che il pubblico abdichi alle sue funzioni di programmazione, di pianificazione e di controllo.

Massimo Ghiloni, consulente urbanistico

Massimo Ghiloni, consulente urbanistico

Il tema del rapporto pubblico privato è da tempo al centro del dibattito. Occorre, però, porsi una domanda pregiudiziale: siamo di fronte ad «una conversione sulla via di Damasco» che supera l’ideologia della contrapposizione tra» pubblico è bello» e «privato è bello»?

La risposta è principalmente pragmatica: lo Stato in tutte le sue articolazioni non ha più autonomia finanziaria per sostenere gli interventi sul territorio, sia infrastrutturali che di riqualificazione urbana, per cui deve aprirsi all’apporto dei privati, anche perché senza un rilancio degli investimenti l’economia non riparte.

Questo stato di necessità non può, però, significare che il pubblico abdichi alle sue funzioni di programmazione, di pianificazione e di controllo. Si devono coniugare costi e benefici in una logica d’interesse pubblico, assicurando la praticabilità delle iniziative. Questa può sembrare una facile enunciazione, ma si scontra con la realtà contrassegnata dall’assenza di strumenti finanziari e normativi che possano evitare l’alterazione del bilanciamento tra interessi pubblici e privati.

L’insufficienza e l’altalenare delle norme emanate in materia negli ultimi anni è ampia e riguarda sia il settore delle opere pubbliche sia quello dell’urbanistica. Esaminiamone alcune a titolo esemplificativo.

Si prenda il caso della realizzazione delle opere primarie e secondarie a scomputo degli oneri concessori dovuti nell’ambito delle trasformazioni territoriali, oggetto di contenziosi giurisprudenziali pluriennali anche a livello europeo, che ha generato soluzioni legislative controverse che alla fine hanno portato all’applicazione sostanziale dell’ordinaria procedura di gara sia per le opere sotto soglia che sopra soglia comunitaria, con una differenziazione per le urbanizzazioni primarie funzionali all’intervento. È da ricordare che si era partiti dalla realizzazione diretta da parte dell’interessato senza obbligo di gara. Rimangono, però, al margine le ulteriori opere che vengono richieste nei piani attuativi, che con un eufemismo sono definite «liberalità consensuali».

Senza un esplicito collegamento con questa tematica, l’articolo 20 della l. 50/2016 introduce la possibilità di realizzare opere pubbliche a spese del privato previa stipula di una convenzione, escludendo l’applicazione del codice dei contratti, nell’ambito di programmi o strumenti urbanistici. Forse sarebbe opportuno un chiarimento: la proposta può essere avanzata autonomamente dal privato, ovvero il comune apre un confronto che assicuri il rispetto di un evidenza pubblica tra varie proposte, anche al fine di evitare successive censure a livello europeo, tipo opere a scomputo.

Un altro caso è rappresentato dalle forme di sinergia stabile tra pubblico e privato cui applicare un modello societario di diritto privato e create per valorizzare il patrimonio pubblico, ma anche per ipotesi come la realizzazione di un opera pubblica a fronte della quale concedere al privato un immobile o un’area edificabile. Tuttora questa ipotesi(tralasciando la controversa vicenda delle società di trasformazione urbana) non ha una disciplina certa che la ponga al riparo da censure di elusione dell’appalto o di scelta del partner privato;

Invece di affrontare queste problematiche, il legislatore ha ritenuto opportuno interessarsi del c.d. baratto amministrativo in base al quale l’amministrazione stipula contratti di partenariato sociale con i cittadini per la manutenzione e valorizzazione di aree verdi, piazze e strade e per il riuso con finalità di interesse generale di immobili inutilizzati a fronte dell’esenzione da alcuni tributi.

Ancora più complesso è il rapporto pubblico-privato nell’urbanistica. La nuova articolazione della pianificazione in strutturale e operativa, che tradotto significa l’amministrazione delinea la strategie che intende perseguire e si apre alle proposte dei privati per la loro attuazione, ribalta lo schema dell’urbanistica autoritativa a favore di quella consensuale. La trasposizione di queste enunciazioni in fatti concreti incontra, però, ancora molti ostacoli e resistenze legate all’individuazione del confine tra potestà pubbliche e iniziativa economica.
La frase che meglio riassume questa problematica è «piano pubblico e progetto privato» senza che avvengano scambi di ruoli o invasioni di campo. Questo concetto è sicuramente realizzabile con il piano operativo, ma è oggetto di discussione se possa riguardare anche la partecipazione dei privati all’elaborazione delle strategie con speciale riferimento a prospettive di rilevanti investimenti che potrebbero trovare una collocazione nel piano strutturale, ricorrendo a un’urbanistica per operazioni. Tutto ciò presuppone una capacità gestionale nell’ambito di uno schema contrattuale che garantisca concorrenzialità e trasparenza. Un altro aspetto riguarda i criteri per la scelta delle proposte quando queste prevedano la presenza di immobili pubblici nonché per la graduazione degli incentivi urbanistici per operazioni di riqualificazione urbana per la realizzazione di ulteriori servizi, che invece in alcune realtà costituiscono extraoneri senza contropartita.

Il legislatore non può, perciò, lasciare alla discrezionalità delle amministrazioni la definizione del rapporto pubblico-privato, anche per evitare di delegare alla fine le decisioni alla magistratura alimentando il ruolo di supplenza dei Tar, del Consiglio di Stato e dei giudici penali.

 

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