Utilizzare meglio e più rapidamente i fondi europei è possibile.
Per troppi anni abbiamo sprecato le enormi opportunità delle risorse della politica di coesione territoriale che, essendo male utilizzate, hanno avuto un impatto minimo sul mercato o comunque di gran lunga inferiore rispetto alle loro reali potenzialità. Ora è il momento di agire, diventando finalmente protagonisti della nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020.
Circa 15,2 miliardi, sui 51,8 previsti, sono in grado, infatti, di attivare domanda edilizia, senza considerare le numerose misure di carattere trasversale che possono interessare il nostro settore. È chiaro che siamo di fronte a una leva fondamentale in una fase in cui il mercato ha bisogno di una decisa sferzata per ripartire.
Ma per vincere questa sfida serve, prima di tutto, un deciso cambio di approccio rispetto al passato, che ci faccia ragionare finalmente in termini di fabbisogni veri e progetti di sviluppo sostenibili e non più solo in funzione dei finanziamenti pre-assegnati ai singoli territori e obiettivi.
È necessario, in altre parole, capovolgere la prospettiva che fino a oggi ci ha fatto rincorrere i bandi, chiedendo il mero inserimento di interventi a volte già superati o sovradimensionati, e proporre invece progetti che corrispondano alle esigenze e ai bisogni delle nostre città. Solo così potremo realizzare ciò di cui il Paese ha davvero bisogno: opere di qualità, in tempi giusti e con costi contenuti, energeticamente efficienti e utili per i cittadini.
Il modo migliore per mettere in atto questo nuovo approccio è, secondo l’Ance, quello di dar vita a «partenariati istituzionali». Riannodare i fili del dialogo tra idee e attori diversi per definire una visione comune e costruire insieme gli strumenti economico-finanziari, urbanistici e fiscali per attuarla. Siamo convinti infatti che il territorio, sia esso costituito da aree industriali dismesse, infrastrutture in disuso, vuoti urbani, centri storici, periferie, possa diventare «cluster creativo» capace di attivare la necessaria filiera tra iniziative economiche, sociali e infrastrutturali.
L’insieme delle forze economiche e produttive, le Università, il mondo della cultura e della ricerca possono e devono affrontare insieme il nodo della rigenerazione urbana con proposte condivise e realizzabili, consegnando nelle mani delle amministrazioni idee e soluzioni innovative, con cui superare i fallimenti degli ultimi anni. Nei principali paesi europei, penso alla Francia in modo particolare, questa logica si è dimostrata vincente. Le risorse a disposizione si sono trasformate, cioè, in un vero elemento catalizzatore di processi di riqualificazione urbana efficaci e condivisi.
Ma anche a casa nostra c’è qualche esempio virtuoso in questa direzione, come il Tavolo sulla rigenerazione urbana, che Confindustria Bari-Bat e Ance Bari-Bat hanno promosso, coinvolgendo i principali stakeholder del territorio: Politecnico, Università, architetti, ingegneri, Centro studi e ricerche Cerset, Confcooperative. Tutto ciò con l’obiettivo di offrire un contributo all’amministrazione locale per definire un masterplan di interventi sul tessuto urbano della città metropolitana di Bari, a partire dall’area pilota del lungomare Sud.
Un importante sforzo di progettualità condivisa e partecipativa, che potrà diventare la base di Accordi di programma da proporre alle istituzioni pubbliche.
Naturalmente è indispensabile poter contare su elementi di certezza, sia dei tempi che delle modalità di programmazione dei fondi. Serve una governance chiara, forte e trasparente che consenta di trasformare i progetti in vere opportunità di sviluppo. Basti pensare alle risorse del Fondo sviluppo e coesione, per il quale si continuano ad accumulare ritardi e a disattandere le tempistiche previste per la definizione degli obiettivi strategici e dei relativi programmi attuativi. Nel frattempo il Fondo è stato utilizzato per far fronte a esigenze di finanza pubblica e più di 8 miliardi sono già stati destinati a varie finalità. Questa logica non funziona: distribuire le risorse a pioggia significa, di fatto, disperderle, accontentando una moltitudine di interessi particolari ma perdendo di vista ciò che è davvero utile per tutta la collettività.