Expo dopo Expo | Nel segno della sostenibilità ambientale

Dismantling tra fast e post Expo

Dopo l’Esposizione si profilano due fasi: il fast Expo e il post Expo. Nel primo caso si tratta di far vivere, per un paio d’anni almeno, una parte degli spazi e dei padiglioni mentre procedono le operazioni di smontaggio dell’intero sito. La seconda fase riguarda invece il dopo Expo, momento ancora più complesso che ha l’obiettivo di rifunzionalizzare tutta l’area a partire dal 2017-2018.

Mentre le operazioni di smantellamento del sito espositivo di Expo 2015 sono entrate nel vivo e finalmente qualcosa si muove anche sul versante del dopo Esposizione universale, è il momento dei primi bilanci tecnici di una manifestazione internazionale che, alla fi ne, nonostante le mille incertezze della vigilia, è riuscita, è piaciuta, ha registrato ottimi risultati: di pubblico, di relazioni internazionali, di risultati economici. Una manifestazione che anche dal punto di vista tecnico ha insegnato qualcosa, ha segnato un prima e un dopo.

Vista aerea del sito espositivo (fonte: Expo 2015).

Vista aerea del sito espositivo (fonte: Expo 2015).

Sono proprio gli addetti ai lavori di Expo e Metropolitana Milanese a indicare che il semestre espositivo, e soprattutto ciò che è avvenuto nei tre anni e mezzo precedenti, lascerà un patrimonio importante anche in termini di pianificazione dei grandi eventi, grazie a un’intensa collaborazione e a un forte coinvolgimento di tutti gli enti interessati, che si sono sentiti, forse per la prima volta nella realtà milanese, parte di una stessa, grande famiglia e che hanno saputo fare sistema. Ad ascoltare le voce dei diretti interessati coinvolti in questa complessa e faticosa operazione, si comprende il legittimo e comprensibile orgoglio: essere riusciti bene, in un’operazione difficile e piena di ostacoli. Proviamo a tracciare un bilancio tecnico di un’operazione che rimarrà come il primo dei grandi eventi internazionali realizzati nel segno della sostenibilità.

Parlano i dati. Il primo dato che salta subito all’occhio è il numero di maestranze presenti in cantiere: nelle due settimane antecedenti l’inaugurazione, sul sito di Milano-Rho hanno contemporaneamente lavorato 10 mila addetti, suddivisi in 9.500 imprese coinvolte. Lavori che, di fatto, sono iniziati con la rimozione delle interferenze del sottosuolo nel novembre del 2011 e si sono conclusi la notte a cavallo tra il 30 aprile e il 1° maggio scorso, giorno dell’inaugurazione ufficiale. Un cantiere il cui valore è stimato in 1,9­miliardi di euro: 700 milioni derivanti dalle opere oggetto della committenza di Expo, 300 milioni dalle opere realizzate dagli sponsor e 900 milioni da quelle realizzate dai partecipanti. Duecentodieci circa gli appalti complessivi portati a termine, di cui una trentina quelli degli sponsor. Particolare importanza è stata attribuita ai controlli preventivi relativi alle autorizzazioni antimafia, per la sicurezza e per i subappalti, controlli che hanno coinvolti 36 diversi enti e istituti. Alla fi ne, per gli accessi ai varchi del cantiere, sono stati emessi qualcosa come 25 mila badge per i mezzi di cantiere e 36 mila per gli addetti. Ma veniamo alle cose dell’oggi, alla fase di smantellamento delle strutture, al «dismantling» cosiddetto, quello in corso in questi giorni.

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Il dismantling, tra fast e post Expo. In 240 giorni, a partire dal 1° novembre, come da regolamento del Bie (Bureau international des Expositions), tutto il sito di Expo 2015, a eccezione di Palazzo Italia, Open Air Theatre, Lake Arena e cascina Triulza, dovrà essere smantellato. Alcuni padiglioni, come previsto fi n dall’inizio, saranno smontati pezzo per pezzo per essere poi assemblati in altre località (Monaco, Emirati Arabi Uniti, Save The Children, Coca Cola, Vanke…). Ma è proprio a partire dal giorno dopo la chiusura dell’Esposizione universale che l’operazione torna nuovamente a complicarsi. Infatti, tra le proposte emerse negli ultimi mesi si è parlato insistentemente e da più parti di mantenere in funzione, per una fase temporanea, in attesa cioè dei lavori di rifunzionalizzazione complessiva dell’area, altri spazi ed edifici. Per capirci, dopo l’Esposizione si profilano due fasi: il fast Expo e il post Expo.

Nel primo caso si tratta di far vivere, per un paio d’anni almeno, una parte degli spazi e dei padiglioni mentre procedono le operazioni di smontaggio dell’intero sito. In questo contesto si collocano la proposta della Triennale di Milano, che su 20mila mq del sito riuscirà a far ospitare, da aprile a settembre del 2016, la XXI Triennale internazionale dedicata a design e architettura («XXI secolo, design, after design») e le otto proposte che il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, ha di recente avanzato e che in sintesi significano: riqualificare le «aree service », convertire l’Expo Centre e il Padiglione Zero, rifunzionalizzare gli edifi ci del Cardo, completare il Children park, utilizzare gli edifici permanenti, valorizzare Palazzo Italia, Lake Arena e l’Open Air Theatre, sfruttare meglio la Collina mediterranea e l’area dedicata a Sloow Food e, infine, migliorare le sinergie con cascina Merlata.

SEZIONE TRASVERSALE DEL DECUMANO con indicati i numerosi sottoservizi tecnici: meccanici, elettrici, Ict e sicurezza (fonte: Expo 2015).

Sezione trasversale del decumano con indicati i numerosi sottoservizi tecnici: meccanici, elettrici, Ict e sicurezza (fonte: Expo 2015).

La seconda fase riguarda invece il dopo Expo: una fase ancora più complessa, che ha l’obiettivo di rifunzionalizzare tutta l’area a partire dal 2017-2018, quando diventeranno concrete le intenzioni dell’università Statale di Milano, che vuole insediare sul sito di Milano-Rho un moderno campus delle facoltà scientifiche, di Assolombarda, che vuole creare un polo dell’innovazione tecnologica, ma soprattutto del governo che, recentemente, per bocca dello stesso presidente del consiglio, ha annunciato che sul sito sorgerà un centro di ricerca e tecnologia applicata dedicato all’alimentazione, alle neuroscienze, alla salute e l’invecchiamento, alla biologia dei sistemi e alla ricerca clinica e l’assistenza sanitaria. Si tratta dello Human technopole, un centro di livello internazionale: un polo alla cui guida vi sarà l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, diretta da Roberto Cingolani, fisico di fama mondiale. Il tutto dovrà avvenire nel rispetto degli indici dell’accordo di programma del 2011. Da questo quadro si coglie la complessità delle operazioni che attendono il futuro delle aree del sito milanese. Una complessità che sconta ancora molta indeterminatezza e soprattutto la presenza di un immenso cantiere, che da poco si è rimesso in moto.

Una complessità che Expo e Arexpo hanno affrontato assieme per coordinare le reciproche attività, tra dismantling, fast e post Expo, attraverso un’altra cabina di régia, questa volta tecnica. Siamo insomma di fronte a un mezzo rompicapo, che rimanda a quello vissuto nei dodici mesi precedenti l’inaugurazione, dove il ritardo regnava su tutto e le operazioni di cantiere si accavallavano freneticamente. Intanto è iniziato il trasloco degli allestimenti e degli arredi esterni e delle opere realizzate da Expo, mentre poco dopo la metà di novembre, secondo il programma, è iniziata l’attività di demolizione delle strutture fuori terra, che durerà fino al 31 marzo prossimo. Dopo quella data, partiranno, invece – come da cronoprogramma – la demolizione delle fondazioni, le operazioni di reinterro e la rimozione degli impianti, il cui termine dei lavori è fissato per il 31 maggio 2016. Un mese dopo, il 30 giugno, scadranno i diritti di superficie che Expo vanta nei confronti di Arexpo e per quella data l’area dovrà essere consegnata ai legittimi proprietari.

LO SCHEMA DEL PIANO DI MONITORAGGIO AMBIENTALE DELLE ACQUE SOTTERRANEE. Sono state realizzate due vasche di accumulo, otto pozzi di emungimento, 14 piezometri e un impianto di messa in sicurezza che ha voluto dire realizzare un pozzo di emungimento profondo 39 metri e di sette litri al secondo di portata (fonte, Expo 2015).

Lo schema del piano di monitoraggio ambientale delle acque sotterranee. Sono state realizzate due vasche di accumulo, otto pozzi di emungimento, 14 piezometri e un impianto di messa in sicurezza che ha voluto dire realizzare un pozzo di emungimento profondo 39 metri e di sette litri al secondo di portata (fonte, Expo 2015).

La gestione ambientale dei cantieri. A confermare l’eccezionalità del cantiere dell’esposizione universale, soprattutto per quanto concerne la complessità dell’operazione, vi sono anche i dati e i risultati raggiunti dalla divisione Ambiente di Expo. Compito di questa sezione, che spesso ha rappresentato una spina nel fianco dell’organizzazione di cantiere – in base agli adempimenti previsti sia dalla normativa sia alle prescrizioni della valutazione di impatto ambientale – ha riguardato la gestione delle fasi di monitoraggio e di controllo. Le prime concentrate sul programma di monitoraggio ambientale, la realizzazione di un intervento di messa in sicurezza della falda idrica sotterranea (Mise), i monitoraggi fitosanitario e della biodiversità (Metabarcoding) e la valutazione di impatto sulla salute; le seconde, sulla gestione dei materiali di scavo, dei rifiuti, delle procedure di autotutela per la tracciabilità con Gps, degli audit ambientali e di sicurezza, delle verifiche ambientali della direzione lavori e quelle dirette di Expo. Tradotto in numeri, tutto ciò ha voluto dire verificare la rispondenza a circa mille prescrizioni contenute nella Via (di cui il 50 per cento riguardante la gestione dei materiali da scavo e dei rifiuti, il 14 quelle relative alla viabilità, l’8 all’acqua e suolo, il 6 a energia e biodiversità).

Il programma di monitoraggio ambientale di Expo ha voluto dire, sempre in numeri, indagare 12 matrici ambientali (atmosfera, rumore, acque sotterranee, acque potabili, acque reflue, acque superficiali, vibrazioni, suolo, ecosistemi, fauna, vegetazione), condurre 324 campagne di monitoraggio, indagare 236 punti, svolgere 65 mila analisi. L’attività più impegnativa, tra le numerose previste nel piano di monitoraggio ambientale, è stata quella svolta sulle acque sotterranee: sono state infatti realizzate due vasche di accumulo (il sito di Expo è dotato di una rete duale di raccolta delle acque chiare), otto pozzi di emungimento, 14 piezometri e, come detto, un impianto di messa in sicurezza, il Mise, il cui funzionamento ha consentito di abbattere il tenore dei solventi del 90 per cento prima dello scarico in fognatura, con un’operazione che ha permesso di ripulire la falda idrica di un’area più vasta di quella del sito espositivo.

LO SCHEMA DELLE RETI DELL’ACQUA, dei pozzi e della raccolta delle acque meteoriche (fonte: Metropolitana Milanese).

Lo schema delle reti dell’acqua, dei pozzi e della raccolta delle acque meteoriche
(fonte: Metropolitana Milanese).

L’intervento è consistito nella realizzazione di un pozzo di emungimento profondo 39 metri e di sette litri al secondo di portata: le acque emunte sono state poi convogliate a un impianto di trattamento. Interessante è stata l’operazione di monitoraggio delle biodiversità (Metabarcoding) attraverso il campionamento di acqua e aria con l’estrazione del Dna, tramite tecniche molecolari e bioinformatiche per l’identificazione e la quantificazione delle specie presenti. Altrettanto significativo è stato il monitoraggio fitosanitario messo in campo. Per Expo, l’introduzione di vegetali e prodotti vegetali da più di 140 paesi stranieri ha rappresentato infatti una situazione a elevato rischio fitosanitario, a causa di movimentazione involontaria e incidentale di specie animali e vegetali alloctone e nocive, con il rischio di uno squilibrio per gli ecosistemi, nonché un grave danno economico. Per evitare problemi, all’interno del sito sono state installate oltre 100 trappole, esche e captaspore per favorire l’intercettazione precoce di eventuali organismi patogeni.

La tracciabilità degli scavi e dei rifiuti. Anche la gestione dei materiali da scavo ha rappresentato un’attività centrale in tutta l’operazione di controllo: per tutelare l’ambiente e il territorio e per rispettare le norme di settore, Expo ha inteso garantire la tracciabilità degli scavi e dei rifiuti. Cento sono stati infatti i piani di scavo, per un totale di due milioni di metri cubi di terra scavata. La procedura si è basata sul controllo a campione, effettuato a diversi livelli, sui materiali di ingresso (di scavo, aggregati naturali, aggregati riciclati) e in uscita (di scavo, rifiuti e terreni contaminati). Per questo scopo sono stati effettuati controlli sui documenti relativi alle autorizzazioni degli impianti e dei trasportatori, ai documenti di trasporto, al formulario identificativo del rifiuto (Fir), ai certificati analitici, ai piani di gestione delle terre e dei rifiuti. Ha voluto anche dire effettuare dei controlli intrecciati su 252 apparecchi gps installati sui mezzi di trasporto dei materiali sensibili, delle registrazioni degli attraversamenti ai gate tramite i badge dei mezzi e degli autisti e, infine, dei controlli sul campo, analitici e de visu. Infine, vi è stata l’attività di audit ambientale: spesso tale attività ha voluto dire effettuare 30 audit, di una giornata ciascuno, con sopralluoghi in cantiere e con la presenza di auditor specializzati. Le attività di audit per le voci «ambiente» e «sicurezza» hanno fatto registrare 136 segnalazioni risolte positivamente e oltre 60 comportamenti virtuosi.

LO SCHEMA DELLA DISTRIBUZIONE ELETTRICA del sito, con il posizionamento delle cabine di distribuzione (fonte: Metropolitana Milanese).

Lo schema della distribuzione elettrica del sito, con il posizionamento delle cabine di distribuzione (fonte: Metropolitana Milanese).

Il dismantling sostenibile. In un Expo sostenibile, anche lo smantellamento delle strutture dovrà avvenire nel segno della sostenibilità ambientale. La fase di demolizione sta avvenendo e dovrà avvenire secondo criteri selettivi, in grado di garantire il recupero della massima quantità possibile di rifiuti. Questo vuole dire procedere allo smontaggio preventivo delle componenti riutilizzabili e riusabili e di tutti i materiali estranei alla frazione inerte (come infissi, guaine bituminose, componenti in legno, ferro, acciaio, rame, plastica). Il deposito temporaneo dei materiali e dei componenti smantellati sta avvenendo e avverrà nel rispetto dei volumi indicati nella normativa e mantenendo separate le frazioni di rifiuto, suddivise per tipologia. In sostanza, dal dismantling di Expo avremo tre grandi famiglie di prodotto: i componenti riusabili (che possono essere ancora riutilizzati, non avendo perso la loro funzionalità), i materiali riciclabili (quelli che sottoposti a trattamenti adeguati possono servire a produrre nuovi materiali), i rifiuti non riciclabili (quelli che rimangono dopo la selezione e che devono essere avviati a smaltimento). Infine, non potevano mancare le istruzioni per il «dismalting». Le imprese che stanno lavorando e lavoreranno allo smantellamento del sito dovranno seguire diverse linee guida: quelle relative al piano rifiuti, al piano scavi, ai materiali in ingresso e quella, infine, di verifica delle terre.

di Pietro Mezzi

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